Chi di voi segue i video che pubblico settimanalmente sul mio canale Youtube (Le domande dei ragazzi), ricorderà che in uno dei più recenti rispondo alla domanda: Perché oggi si intende l’intimità solamente come legata al sesso? Mi è stata fatta questa domanda in un incontro con un gruppo di ragazzi di 3° anno di liceo e avevo iniziato a parlare di intimità. Uno di loro intervenne dicendo: “finalmente parliamo di sesso!”. Dopo una risata generale, una ragazza mi fece quella domanda.

Questo racconto evidenzia quanta confusione ci sia sul termine intimità, spesso inteso in maniera riduttiva: per esempio, l’intimità è per molti il rapporto sessuale, oppure la parola “intimo” è riferita solo al corpo o ancora essa sta ad indicare la biancheria intima. In pochi sanno che la sua origine viene dal latino intimus, superlativo assoluto di interior, che corrisponde all’italiano “interiore”. Quando diciamo “intimo” è come se dicessimo “interiorissimo”. Quando parliamo dell’intimità di una persona ci riferiamo a una parte molto profonda, personale, nascosta, protetta di una persona. Ma se essa è la parte più interiore di noi, interiorissima, che custodisce il nostro io più profondo, allora possiamo dire che essa è ciò che ci rappresenta maggiormente e che in essa sta tutto il nostro valore: noi valiamo quanto vale la nostra intimità.

Educare l’intimità di un ragazzo, di una ragazza, è forse l’aspetto più importante della sua educazione affettiva e sessuale. Dall’intimità di una persona dipende, infatti, la sua capacità di essere amica, di saper amare, di essere se stessa. E soprattutto la sua capacità di amare se stessa.

Abbiamo già parlato in questo articolo di come aiutare un bambino e ancor di più un adolescente a guardarsi dentro per scoprire questo tesoro. Nello stesso articolo abbiamo dato alcuni suggerimenti pratici su come favorire l’educazione dell’intimità. Rimane da spiegare meglio l’essenza stessa dell’intimità ed il suo ruolo centrale nella capacità di vivere bene le relazioni.
Lo spessore delle nostre relazioni è dato infatti dal peso della nostra intimità. Per esempio, senza intimità personale non ci sarà mai intimità di coppia ed il rapporto sarà superficiale o materiale (caratterizzato soprattutto dall’unione di corpi). Purtroppo alla base di tanti problemi di coppia c’è spesso una scarsa condivisione dell’intimità. Il noi non nasce (o non cresce) perché l’io ed il tu rimangono soggetti depotenziati, poveri, non integrati. La relazione rimane povera perché in partenza si condividono due soggettività povere.

Ma senza intimità non ci potrà essere mai neanche amicizia. Come può svilupparsi l’amicizia se non si condivide l’intimità reciproca? È proprio l’intimità che dà forma all’amicizia. Tu sei mio amico perché con te e solo con te condivido qualcosa di molto personale , a cui tengo molto, e che consegno a te perché tu ne sei all’altezza. Di te mi fido. A te consegno una parte importante di me e ti chiedo di custodirla con la stessa cura con cui la custodisco io.

Ma che cosa è realmente l’intimità? Proviamo a darne una definizione per gradi progressivi, immaginandoci tre cerchi concentrici che la descrivono sempre meglio.
Il primo cerchio si riferisce a me presente nelle mie cose. Quando lo spiego ai ragazzi faccio sempre l’esempio del cellulare. Chiedo a qualcuno di mostrarmi il suo cellulare e poi di poterlo avere in mano e, successivamente, di poter leggere ciò che contiene. La reazione a quest’ultima richiesta è sempre di grande imbarazzo, quando non mi viene detto esplicitamente di no. Una reazione comprensibile per il fatto che nel cellulare , oggi, c’è buona parte dell’intimità di una persona: messaggi, foto, dialoghi, contatti… Oggi avviene col cellulare ciò che un tempo succedeva col diario personale. Noi siamo nelle cose che ci appartengono e che non mettiamo in mostra o, meglio, le nostre cose personali parlano di qualcosa di noi che vogliamo difendere dal pubblico dominio, non vogliamo far conoscere a tutti.

Ma ovviamente la nostra intimità non sta nel cellulare o nel diario. Per comprenderlo meglio dobbiamo passare al secondo cerchio, più stretto del primo, e che riguarda l’oggettività che sta dentro di noi. Il colore dei miei occhi non fa parte della mia intimità perché è alla vista di tutti. La sxtessa cosa non si può dire delle mie idee, la mia storia personale e familiare, i miei valori, i miei desideri, le mie convinzioni e credenze, le mie vicende affettive, i miei sogni, le mie ferite e le mie fragilità. Esse stanno dentro di me e diventano palesi agli altri solo se io esplicitamente le tiro fuori. La presenza di questa intimità e del suo valore emerge quando soffriamo perché, dopo aver condiviso con qualcuno una parte di questa intimità, questi la svela indebitamente a qualcun altro: ci sentiamo violati nella nostra intimità.

Eppure non è neanche questo il livello pieno dell’intimità. Lo troviamo nel terzo cerchio, quello più stretto e profondo. È qui che possiamo prendere possesso della nostra intimità e di farla nostra, è a questo livello che possiamo dire “io dispongo di me, questa scelta è mia e solo mia, e ne sono pienamente consapevole”. Non basta infatti essere consapevoli della nostra intimità se poi non sappiamo difenderla a costo di tutto e muovere il nostro agire in funzione di essa.
A che serve avere dei valori se poi dinnanzi alle difficoltà li svendo? A cosa serve conoscere la mia intimità se poi non la difendo anche a costo di soffrire per proteggerla? Se per me l’onesta è un valore importante, a cosa mi serve se poi non lo faccio mio anche a costo di essere impopolare? Questo terzo livello è quello che mette in gioco la mia libertà e mi permette di prendere possesso della mia intimità.
Solo così, se sarà pienamente mia, allora potrò donarla a qualcun altro.
Solo così mi potrò donare a qualcun altro.

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